Villepreux: Il profeta del rugby totale – Intervista di Passerini su All Rugby
Era già profeta trent’anni fa, quando predicava il rugby totale giocato da 15 terze linee. E adesso, dopo la provocazione di Wayne Smith e del suo passaggio “in avanti” (“uno per azione…” la provocazione del guru neozelandese), Pierre Villepreux si lancia ancora più in là: “Perché non permettere in futuro di calciare le touche con i piedi, in modo da poter lanciare la palla dove si vuole, come con un calcio in campo aperto? Si deve aumentare il gioco, la circolazione di palla ma anche la possibilità di variare scelte offensive”. Inesauribile profeta del gioco e della creatività, 30 anni fa, esponente della scuola di René Deleplace (1922-2010, musicista, professore di matematica, giocatore, allenatore e teorico del rugby), Pierre definiva ogni raggruppamento un incidente di percorso e un ostacolo alla veloce esecuzione del suo spartito (mozartiano?). Adesso si spinge oltre: “La velocità è un ingrediente talmente indispensabile che anche una maul rapida diventa efficace come e quanto un passaggio, e, di fatto, oggi classifichiamo come ruck e maul azioni che in realtà sono passaggi veri e propri, e non raggruppamenti”. Pierre è inconfondibile. Fosse per lui, una partita di rugby dovrebbe essere sempre un vulcano di gioco e di idee, una fucina di fantasia, di libertà totale, disciplinata solo dal sostegno, dalla lettura della situazione, e da quel totem inamovibile che per lui è il piacere che il giocatore deve provare nello sviluppare l’azione, una sorta di ebbrezza interiore prima ancora che agonistica e sportiva, e che per il guru transalpino è sempre la premessa al piacere del pubblico e allo spettacolo.
E vuoi non inebriarti, quando l’associazione Akka, lo invita a Treviso per un incontro sul futuro del gioco? Una serata di tecnica e ricordi, di statistiche e commozione, di affascinanti suggestioni sulle potenzialità del rugby 2.0. Villepreux non cela l’emozione quando gli organizzatori gli proiettano la strepitosa meta di Lynagh nella finale scudetto 1992 (Treviso-Rovigo, 27-18, ndr): “Non l’avevo mai più vista da allora, è davvero bellissima, e sapete perché? C’è Manteri che recupera un pallone caduto, indietreggiando, e lì nessuno anche oggi si sognerebbe di rilanciare l’azione. Invece lui ci prova, trova Rigo che riparte sull’asse e la squadra si riorganizza meravigliosamente, mettendo a disposizione un sostegno perfetto”.Un mantra. E Villepreux ha la risposta pronta a chi gli chiede rigore, pragmatismo, concretezza. E così predica disciplina (“Stupido, inammissibile concedere cartellini gialli e rossi all’avversario”), contesta molto fermamente chi lo accusa di pensare solo all’attacco e non alla difesa (“il mio primo scudetto con Tolosa lo vinsi con la pressione, l’avversario era molto più forte”), e puntualizza come non sia un fanatico del gioco alla mano. E cita – regalando brividi ed emozioni – la magistrale vittoria della Francia sugli All Blacks ai Mondiali 1999, scandita dai calci di Lamaison e dai guizzi di Dominici.Rinnova il suo appoggio a un gioco di adattamento e al rifiuto di ogni programmazione, perché “il gioco nasce dalla lettura che in ogni momento compio sul rapporto di forza tra la mia presenza in campo e quella dell’avversario, tra quello che sto creando e la risposta degli altri”. Una filosofia superiore, che supera dialetticamente gli stessi concetti di attacco e difesa. “È una relazione fra le due cose, un gioco di forze”. Fisica, più che rugby. In concreto, parla di difese alte, o avanzanti. E non nasconde il suo disprezzo per chi struttura 3-5-10 fasi, a colpi di pick and go, “ma poi non sa cosa fare e calcia”. Figurarsi, per chi come lui evoca un’incessante creazione, parlare di mischie e di touche. “Sulle fasi statiche si lavora dopo”, insiste, alla faccia di chi gongola sul nuovo peso di mischie e maul. E ricorda a tutti che “chi segna più mete vince, e questo è un messaggio importante da far acquistare ai ragazzi”. E cita le statistiche: negli ultimi 281 test match internazionali solo 11 sono stati vinti da chi ha segnato meno mete.E si azzarda a stilare una sorta di decalogo della squadra vittoriosa, capace di segnare mete ma anche di esser “vigilante” sul proprio comportamento, attenta all’occupazione del campo, in grado di andare oltre la linea dopo due fasi, e di ricorrere al piede solo su pressione asfissiante, e comunque con scelte pedatorie intelligenti. “Non credo nella multifasi a prescindere”, insiste Pierre.
E il rugby del Duemila, allora? “Sarà un gioco sempre più elitario, e questo deve far riflettere, l’Irb (oggi World rugby) deve stare attento alla distribuzione delle risorse, altrimenti si creerà una spaccatura insanabile fra grandi potenze e altre nazioni, perché il circolo soldi – business – spettacolo diventa vizioso. Dal punto di vista dei giocatori, saranno sempre più performanti ma anche con una mentalità più forte e strutturata. Il gioco in futuro vedrà minor importanza di mischia e touche, e lo si vede già adesso nell’emisfero Sud, dove la mischia è vissuta come un innesco del gioco, non come il luogo per darsi battaglia e misurarsi. E vedremo giocatori sempre più disponibili sul piano fisico e atletico, dunque in grado di creare da qualsiasi posizione”. Di qui la raccomandazione agli allenatori presenti in sala: “Lavorate subito su questa mentalità, create confidenza con il gioco di movimento”. Inevitabile chiudere con la Francia, Saint Andrè è in ribasso, per usare un eufemismo, Galthiè è in rampa di lancio, e lo strappo con Montpellier sembra la premessa. Ma soprattutto da tempo, diciamo dalla finalissima mondiale di Auckland 2011 (persa di un punto con gli All Blacks, e avessero vinto i coqs, chi avrebbe potuto dire qualcosa?) non è più quella felice macchina di gioco e fantasia.“Eh sì ci sono problemi, il campionato si è riempito di stranieri, non vedo più tanta fiducia nei nostri. E se si pensa che Bastareaud sia l’uomo che risolve i problemi del gioco, non si può andare lontano. Guardate che se fate un bel match di pressione la battete, al prossimo Sei Nazioni: mai come stavolta la Francia deve veramente stare attenta…”. No, non ci azzardiamo nemmeno a proiettarci sul Mondiale del prossimo autunno… e che gli dei del rugby ascoltino il loro profeta missionario. A Tahiti come a Treviso.